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La strage di Piazza Fontana raccontata da Marco Tullio Giordana

26/03/2012 | Interviste |
La strage di Piazza Fontana raccontata da Marco Tullio Giordana

In uscita il 30 marzo, in 250 copie (01 Distribution), Romanzo di una strage è un film figlio di quel cinema d’inchiesta e verità storica che ha fatto grande e impagabile il nostro cinema degli anni Sessanta e Settanta. Nel suo ultimo lavoro Marco Tullio Giordana (definito dallo stesso Francesco Rosi, il suo legittimo erede) racconta quella terribile e inavvicinabile torbida vicenda che portò alla bomba di Piazza Fontana a Milano il 12 dicembre 1969, nella quale morirono 17 persone e ne furono ferite 88. Quella gravissima strage fu il La per il cosiddetto periodo della strategia del terrore, nel quale l’Italia tutt’ora vede concentrarsi i maggiori casi di sterminio di innocenti e conseguenti impunità dei veri colpevoli. Sta qui il reale motivo per il quale il film non è stato potuto fare prima: gli atti processuali (che tutt’ora dimostrano incongruenze e tesi discordanti) sono finalmente visionabili da tutti. La pista rossa (quella degli Anarchici), quella nera (dei neofascisti di Ordine Nuovo e i servizi segreti corrotti), la tesi delle due bombe differentemente piazzate nella sede della Banca dell’Agricoltura, i depistaggi, le calunnie e gli omicidi/suicidi, sono il materiale sul quale Giordana tesse il suo racconto, cercando, insieme  agli sceneggiatori Stefano Rulli e Sandro Petraglia, di non forzare la mano in direzione di dietrologie, ma neanche discolpando le più alte cariche dello Stato. Due le figure emblematiche di questo racconto corale: il commissario Luigi Calabresi interpretato da Valerio Mastandrea e l'anarchico Giuseppe Pinelli interpretato da Pierfrancesco Favino, entrambi morti (l’uno assassinato, l’altro “volato” dalla finestra del commissariato) prima che quella Verità che si legge nella locandina del film, fosse anche solo sfiorata o, nel caso di Calabresi, resa pubblica.

La parola romanzo del titolo è emblematica…

Marco Tullio Giordana: E’ il mio personale omaggio al famoso articolo di Pier Paolo Pasolini pubblicato sul Corriere della Sera nel 1974, dove dichiarava di conoscere i nomi dei responsabili, ma di non averne le prove. A distanza di quarant’anni quello che lui sapeva è diventato un noi sappiamo. Questo film non è esclusivamente rivolto a chi quel periodo l’ha vissuto in prima persona, ma anche a quei giovani che non ne  possiedono una memoria storica, vuoi per carenze scolastiche, vuoi perché i genitori sono ancora trincerati dietro determinati preconcetti.

Il film è evidentemente basato su un forte lavoro di scrittura. Quali sono state le difficoltà nella ricostruzione storica di quegli avvenimenti?

Stefano Rulli: Il nostro problema principale era quello di dare un senso a tutta la miriade di verità e ipotesi che accompagnano questa vicenda. Lo scrittore Fulvio Bellini ci ha aiutato moltissimo con il suo certosino lavoro di documentazione, come nel caso emblematico del rapporto tra il presidente della Repubblica Giuseppe Saragat e il ministro degli Esteri, Aldo Moro (del quale evidentemente non ci sono documenti veri e propri).

Anche nel caso della scena dell'interrogatorio di Pinelli non esistono documenti o registrazioni…

M.T. Giordana: Nessuno di noi può fare una ricostruzione esatta di ciò che avvenne in quell’ufficio perché i presenti ormai sono tutti morti, tranne il tenente dei Carabinieri Lograno che risiede a Torino. La cosa della quale sono certo è che Pinelli non si sia suicidato. Quello che successe mi ha sempre dato l’impressione di essere frutto di una perdita di “autogestione” da parte dei poliziotti presenti. Non credo volessero ucciderlo, ma sta di fatto che a pagarne le conseguenze più gravi fu proprio Calabresi, il quale molto probabilmente non era neppure nella stanza al momento dell’incidente. Vittima delle bugie degli alti gradi della sicurezza nazionale, come d’Amato, egli è stato il capro espiatorio per quell’ondata di malcontento generale e mancanza di fiducia dei cittadini.
 

Come vi siete accostati a dei personaggi così importanti ed impegnativi?

Pierfrancesco Favino: Io ho avuto la fortuna di conoscere la moglie e le figlie di Pinelli, incontro che mi ha toccato profondamente soprattutto perché sentivo la infinita responsabilità che gravava su di me come attore nel portare sullo schermo un padre ed un marito che non c’è più e le cui circostanze della morte ancora non sono state del tutto accertate.

Valerio Mastandrea: Io invece ho deciso di intraprendere una via diversa da quella di Pierfrancesco, ho deciso di non incontrare nessuno della famiglia di Calabresi. Ho fatto questa scelta per pudore. E’ in assoluto il ruolo più difficile della mia carriera, perché mi ha messo a confronto con una realtà terribile ed allo stesso tempo attuale nel nostro Paese, quella nella quale le grandi tragedie della nostra storia faticano a trovare una verità assoluta e i veri colpevoli restano impuniti.

Ha dei timori riguardo al fatto che il suo film possa essere considerato troppo ideologico?

Marco Tullio Giordana: Assolutamente no. Considero le cosiddette ideologie una faccenda chiusa negli anni Cinquanta. A mio parere questo è un grande film, recitato da un meraviglioso gruppo di attori, che  voglio ringraziare, prim’ancora che per il loro lavoro, per il magnifico supporto e dedizione nei confronti dei loro personaggi, esattamente come ho fatto io.

Serena Guidoni

 


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